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La cremazione è documentata tradizionalmente tra le popolazioni di stirpe indoeuropea e tra coloro che hanno adottato religioni di tale origine, come il buddhismo. Fanno eccezione a tale regola i seguaci di Zarathustra, sopravvissuti sino ad oggi come comunità Parsi che, pur appartenendo ad una religione indoeuropea, rifiutano la cremazione: venerando il fuoco, non possono permettere che esso tocchi cadaveri ritenuti impuri. Per l’eliminazione del corpo, senza dover ricorrere alla sepoltura, rito estraneo al mondo indoeuropeo, ricorrono alle “torri del silenzio”.
A Roma la cremazione si trasformò in un’usanza così radicata da far costruire ed affittare dai parenti dei defunti loculi all’interno di un columbarium. I loculi erano delle nicchie o strutture simili, disposte orizzontalmente nelle pareti dei colombari, atte a contenere le ceneri dei morti. Presto la vendita di loculi o di interi colombari si trasformò in un lucroso commercio.
Con la diffusione del Cristianesimo, la pratica della cremazione nell’impero romano decadde a favore della sepoltura. Anche se la cremazione non era esplicitamente un tabù fra i cristiani, era guardata con sospetto dalle autorità religiose e, a volte, apertamente osteggiata a causa della sua origine pagana greco-romana e per la preoccupazione che potesse interferire con la resurrezione del corpo e la sua riunione con l’anima.
Un altro motivo più pratico del declino delle cremazioni fu quello della crescente penuria di legname alla fine dell’Impero Romano, materiale ovviamente indispensabile per la combustione dei cadaveri.
Le cose cambiarono con l’avvento dell’Illuminismo e con Napoleone Bonaparte, il quale, tramite il celebre Editto di Saint Cloud del 1805 inerente all’obbligo di inumazione dei cadaveri in cimiteri extraurbani, gettò le basi di quelle che sono oggi le norme legislative in materia di diritto cimiteriale.
La cremazione è rimasta rara in Europa occidentale fino al XIX secolo, tranne in casi eccezionali: ad esempio, durante l’epidemia di peste nera del 1656, i corpi di 60.000 vittime furono bruciati a Napoli in una sola settimana.
Dal XX secolo il termine cremazione è anche correlato allo sterminio di massa di prigionieri deportati nei lager nazisti.
I primi forni crematori moderni sono ascritti agli studiosi Brunetti, Polli-Clericetti, Paolo Gorini da Lodi, Venini, Guzzi e Spasciani-Mesmer.